
Altre persone sono state individuate vive sotto le macerie dell'hotel Rigopiano.
Lo riferiscono i vigili del fuoco che ancora non hanno raggiunto i superstiti. Si tratterebbe di un gruppo di cinque persone, anche se il numero è ancora da confermare.
16:02 I soccorritori stanno estraendo dalle macerie dell'hotel Rigopiano la terza persona del primo gruppo di sei superstiti individuato questa mattina. Lo rendono noto fonti dei vigili del fuoco aggiungendo che è stato anche individuato e raggiunto un settimo superstite. Dopo una notte di ricerche, estratti vivi nella tarda mattinata i superstiti ritrovati dai soccorritori sotto le macerie. Due le vittime accertate ma sarebbero 35 le persone che erano presenti all'interno dell'Hotel Rigopiano. Lo scrive Ansa.
L'Hotel Rigopiano era situato a 1.200 metri di quota, alle pendici del Gran Sasso. Utilizzato dai suoi ospiti come oasi di benessere.
L'albergo, inaugurato negli anni 70, era anche utilizzato per convegni e seminari.
Soli nell'hotel schiacciato dalla slavina da 48 ore, ma ancora vivi.
"So che può sembrare incredibile, ma in questi casi non è come essere sepolti sotto la neve: l'edificio, che evidentemente era ben costruito, ha mantenuto delle zone integre al piano terra o al seminterrato, isolate dalla coltre neve e dai detriti come fossero un airbag, ma con preziose sacche d'aria all'interno. Un 'effetto campana' che, evidentemente, ha isolato anche i superstiti, tenendoli al freddo, ma ha consentito loro di sopravvivere". E' l'analisi di Adelina Ricciardelli, past president Fimeuc (Federazione italiana medici dell'emergenza-urgenza e delle catastrofi), che spiega all'AdnKronos Salute: "A questo punto sono prevedibili traumi e problemi legati al freddo e alla disidratazione".
Finora si parla di una decina di superstiti tra gli ospiti e i dipendenti dell'Hotel Rigopiano. "Se alcune stanze sono rimaste quasi integre, anche se isolate dal resto dei locali, allora c'è spazio per la speranza. Nonostante l'abbondante nevicata, queste persone non sono state sorprese da una slavina in mezzo alla neve - riflette l'esperta - Per questo le possibilità di sopravvivenza erano maggiori. Anche se in passato - aggiunge - ricordo di un ritrovamento dopo 2 giorni sotto la neve di una persona ancora viva".Il problema più grave, "quando si creano delle sacche d'aria dopo una slavina, è legato alla scarsità di ossigeno - prosegue Ricciardelli - Ma nel caso questo accada in un edificio, bisogna anche pensare che, con il freddo, rallenta il metabolismo e si riduce il consumo di aria. Altro rischio, oltre a quello legato ai traumi da schiacciamento, è il congelamento: il freddo alla lunga porta alla necrosi in primo luogo delle dita di piedi e mani".
"Ma bisogna sempre pensare che queste persone non erano sepolte all'aperto nella neve: si trovavano in una sorta di 'campana' all'interno di un edificio. E questo, come ho detto, ci permette di sperare. Inoltre se sono rimasti bloccati nelle cucine, forse potevano contare su scorte di acqua", conclude l'esperta.
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